Le piante son brutte bestie by Renato Bruni

Le piante son brutte bestie by Renato Bruni

autore:Renato Bruni [Bruni, Renato]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Science, General, Life Sciences, Botany
ISBN: 9788875786717
Google: lQUCMQAACAAJ
editore: Codice
pubblicato: 2017-04-14T22:00:00+00:00


IL GIARDINO DI OBLOMOV E QUELLO DI ČAPEK

CAPITOLO 9

Sebbene sia ricco di sfaccettature e abbia ricadute economiche e ambientali superiori all’immaginabile coinvolgendo moltitudini in ogni luogo e cultura, il mondo dei giardini non possiede una propria scienza di riferimento e ricicla le sue buone pratiche dall’agronomia o dall’ecologia. Nel farlo tende a vivere come quei bambini che ereditano abiti da cugini o fratelli maggiori accontentandosi di capi con una taglia in più o in meno, fuori moda o in contrasto con i propri gusti e desideri. Le dinamiche ecologiche di habitat complessi e le esigenze economiche di un campo coltivato, infatti, non sempre calzano a pennello per spazi semplificati, in cui le esigenze estetiche si mescolano con gli invalicabili limiti delle città. Ad esempio, la gestione delle risorse nei giardini richiede compromessi distinti rispetto al mondo agricolo: nei campi coltivati abbiamo superfici uniformi e possiamo calcolare le quantità ottimali di acqua o di fertilizzante in base al suolo e alla piovosità, oltre a dover far tornare i costi di gestione.

In un giardino invece abbiamo una superficie irregolare da popolare a piacimento, in cui convivono a forza piante assai diverse tra loro. Molte delle ambiguità e degli errori che io e il nonno abbiamo messo in pratica sono eredità indirette di questa situazione e del fatto che ci si ritrova a gestire metodi e soluzioni che nessuna scienza ha messo a punto per le vere esigenze di un giardino, rendendo arduo il compito a chi volesse impostarne uno basato sull’evidenza provata. Ultimamente queste riflessioni sono diventate ricorrenti qui nel mio fazzoletto di mondo, dove il nuovo inizio ha coinciso con la ripresa di sane, vecchie abitudini: il nonno aveva i suoi amici ciarlieri che venivano a estivare all’ombra dei tigli e io ho i miei, non meno esperti e non meno bizzarri. Quando Nicola arriva si siede sull’erba, si toglie le scarpe e mentre io bagno la maglia di sacro sudore mi osserva e ride, sciorinando aforismi letterari come: «Il lavoro mi piace, mi affascina. Potrei starmene seduto per ore a guardarlo». È uno di quei matti che ha abbandonato la città per rifarsi una vita nei campi, tenendo però la testa sintonizzata su quanto la scienza ha decodificato del funzionamento delle piante. Io mi affanno a dissodare le aiuole, annaffiare il prato, inseguire le erbacce o a rastrellare le foglie autunnali imitando i gesti del mio avo e lui mi irride beffardo, sostenendo che il vero modello del giardiniere moderno deve essere Il’ja Il’ič Oblomov, il protagonista dell’omonimo romanzo russo che naviga nel mare della vita tenendo la barra a dritta verso il faro dell’indolenza, al punto da prendere residenza sul divano del salotto.

L’Oblomov di Nicola ha un contraltare, un gemello diverso sia letterario sia giardinesco. Questo alter ego arriva per questioni politico-anagrafiche direttamente dalla libreria del nonno, ma ancora oggi ispira l’agire quotidiano di molti: lo scrittore cecoslovacco Karel Čapek che parla di se stesso ne L’anno del giardiniere. Dove Oblomov si vive addosso tra molli comodità, il giardiniere



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